Fabio Biale LA GRAVITA’ SENZA PESO
Fabio Biale è un cantante e polistrumentista di chiarissima fama nel giro musicale ligure anche se il suo strumento principe è il violino che ha prestato sia live che su dischi a innumerevoli e importanti collaborazioni di diverso genere (citiamo solo il raffinato cantautore Giorgio Conte, il cabarettista Flavio Oreglio, il sodale Zibba, presente anche in quest’album, gli occitani Lou Dalfin, la cantautrice Giua, il bluesman Paolo Bonfanti, i rockettari The Gang, e l’attore Mauro Pirovano, anch’egli ospite dell’album con un brano recitato) oltre naturalmente ai gruppi di cui fa e ha fatto parte come gli Almalibre di Zibba, i Luf, i “celtici” Birkin Tree e i folkamente liguri, Liguriani. Ora, dopo un primo album solista nel 2012 “La sostenibile essenza della leggera”, propone insieme a un pugno di validi musicisti questo nuovo godibilissimo CD dove si parla ancora di leggerezza gravitazionale e dove si destreggia tra i molti stili che vive ed esercita da sempre con grande padronanza e maestria strumentale.
Diviso tra divertissement disimpegnati e canzone d’autore di ottimo livello, il disco vede tra i primi, brani energici e swinganti come Il bolo isterico, che fa sua la lezione di certo jazz manouche così come anche l’umoristica e autobiografica Crapa pelata, e La caffetteria Bandiani gustoso ritrattino di un bar di provincia alla Stefano Benni e soprattutto Sì, però non eri qui il fortunato singolo salito oltre le prime cinquanta posizioni della classifica “Indie Music Like”; mentre tra le prove più “serie” ecco che scopriamo la drammaticità della bellissima canzone partigiana Marzo, l’intimismo di Tutto sommato e di Con la mano tesa e della lenta e ironica Canzoni da more forse il brano migliore del lotto. Ma non è finita: L’ultimo inverno dello zar è un valzer strumentale incrociato tra gitanerie manouche e melodie popolari russe, Albergo Zot è una storia noir vagamente Caposseliana, e Viene la musica è una sincopata e quasi blueseggiante canzone sulle indiscutibili proprietà terapeutiche della musica.
La divertente e assolutamente lo-fi Rock’n’roll, un boogie woogie registrato in casa nel 1992 insieme a tre amichetti (Biale era in seconda media e aveva dodici anni) conclude giocosamente un album gustosissimo e composito dove si svaria con disinvoltura tra echi à la Diango Reinhardt (e ovviamente del suo violinista italo-francese Stephane Grappelli) atmosfere, oltre quelle citate, alla Lucio Dalla, melodie alla Gino Paoli (siamo sempre in Liguria) e rimembranze swing degli anni trenta (il Quartetto Cetra di Crapa Pelada). Da segnalare ancora la validità e l’originalità dei testi, che tra ironia e umorismo e intimismo sociale e personale, si accendono di mille sfumature e giochi di parole fino a gustosi calembours, e che la versione digitale dell’album ha qualche differenza rispetto al CD: la scaletta è strutturata diversamente, ci sono versioni alternative di alcuni brani, e soprattutto manca lo strumentale L’ultimo inverno dello zar sostituito però più che degnamente dalla bellissima e cantautorale Gesti non presente sul supporto fisico.
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