Nuju 3° MONDO
Terzo disco per il sestetto calabrese dei Nuju formato da Fabrizio Cariati voce, Marco Ambrosi chitarre, Giuseppe Licciardi basso, Roberto Virardi fisarmonica, Roberto Simina percussioni, tamburelli e Stefano Stalteri batteria, ma nel disco i sei suonano molti altri strumenti dal piano al bouzouki, dal mandolino al piano, dal sinth ai ciancianeddi. Chi li conosce - il loro nome sta diventando sempre più conosciuto soprattutto dopo la loro partecipazione al concerto di Ligabue al Campovolo - sa in gran parte cosa aspettarsi, un combat folk, loro però lo definiscono urban folk, rabbioso e coinvolgente con testi molto impegnati e combattivi. Ci sono due canzoni La rapina e L’Artista i cui testi costituiscono una vera e propria dichiarazione d’intenti, nella prima la musica è cantata come espressione necessaria della propria ribellione alla società :«Si sa che in questa società non c’è spazio per sognare / Bisogna lavorare e guardarti le spalle / Perché nella frenesia l’indifferenza che vuoi che sia / Vado in guerra con la chitarra», nella seconda c’è una riflessione fra l’amaro e il sarcastico sul ruolo dell’artista::«L’artista è sempre triste / Scavare gli dà gioia / Per dar valore alla sua opera / Forse è meglio che egli muoia».
Insomma, lo si sarà capito, siamo dalla parte dei Modena City Rambler o del Parto delle Nuvole Pesanti o dei napoletani Vox Populi, che essendo fra i più meritevoli sono scomparsi nell’oblio, musica più adatta ad infiammare il pubblico sotto i palchi che ad essere ascoltata nella propria stanzetta e d’altra parte i testi sono costanti rabbiosi inni alla rivolta. Tutte cause perfettamente condivisibili e giuste, ma che non sempre hanno una equivalente riuscita artistica. Certo il disco piacerà a chi apprezza il genere, vi troverà modo di entrare in sintonia con i ritornelli creati dai Nuju e di cantarli a squarciagola insieme al cd sul lettore, perché la musica come da copione è trascinante e coinvolgente, la voce di Cariati si adatta bene sia ai brani più riflessivi - ricorda Capossela - che in quelli più combattivi. Fra gli undici brani si fanno preferire il già citato L’artista con il suo andamento in levare e la patchanka blues di La Rapina, meno riusciti Compromessi in cui l’uso dell’elettronica risulta poco convincente e c’è una fastidiosa aria da Subsonica e Bastardi e Pezzenti, davvero troppo retorica. In definitiva un album che non deluderà gli amanti del genere, ma lascerà insoddisfatti chi nella musica cerca non soltanto buone intenzioni e buone idee politico sociali, ma anche inventiva, voglia di rischiare e di non collocarsi comodamente su una strada già tracciata. Ma forse il problema è che chi scrive la canzone politica l’ha conosciuta con il mirabile esempio degli Stormy Six.
Commenti →