MOSTRE – Pollock e gli irascibili – La scuola di New York 24 settembre 2013 - 16 febbraio 2014, Milano, Palazzo Reale
Siamo certi non se ne avrà a male Luca Beatrice, curatore italiano di “Pollock e gli irascibili - La scuola di New York”, se definiremo questa bellissima rassegna di quarantanove dipinti la mostra più “rock” che si sia mai vista in Italia. Ma perché definirla con un termine musicale appartenente a una generazione successiva a quella di Jackson Pollock e dei suoi sodali? Perché la nostra visione è probabilmente viziata, positivamente diremmo, dalla nostra musica preferita; perché la forza scardinante primigenia del rock si può tranquillamente associare alla potenza artistica di questo movimento di totale rottura col passato, perché l’energia dirompente che traspare da queste opere, lo sperimentalismo e la ricerca di nuove frontiere dell’arte ben si accomunano a quella che fu la nascita di una musica nuova che aboliva tanti dogmi del passato e tutto questo nonostante la colonna sonora di quegli anni negli USA fosse quel jazz che insieme a certa letteratura tendeva a trascendere e a superare gli schemi del conosciuto e del già detto. E non solo: i diciotto artisti presenti in questa mostra, come nelle migliori (o peggiori) storiografie del rock, sono quasi tutti passati a miglior vita a causa di alcool, droghe, suicidi, problemi psichici e incidenti stradali causati da quanto detto sopra (vedi lo stesso Pollock).
Unica eccezione, e guarda caso anche unica donna del gruppo, Hedda Sterne morta solo due anni fa ultranovantenne. E la mostra milanese si apre proprio con la storica foto in bianco e nero dei diciotto irascibili vestiti insolitamente e provocatoriamente tutti in giacca e cravatta, quasi a voler celare la furia e la rabbia iconoclasta sotto un “travestimento” innocuo e rassicurante. Ma subito dopo arriva Pollock: il suo dipinto più celebre, Number 27, è qui davanti ai nostri occhi nella sua speciale rettangolare grandezza di un metro e venti per quasi tre metri, simbolo di quell’abbandono del cavalletto che più non bastava all’artista americano che inventando il dripping, cioè la colatura dei colori sulla tela stesa sul pavimento, dava vita all’action painting, forza motrice e propulsiva del movimento newyorchese sviluppatosi dalla metà degli anni trenta ai sessanta, che espresse su tela quella libertà di pensiero e di azione pittorica oltre gli schemi conosciuti influenzando tutta l’arte moderna a venire e scippando improvvisamente e non si sa quanto volontariamente a Parigi il primato indiscusso di capitale dell’arte mondiale.
E se di Pollock, nonostante la titolazione della mostra che lo erge a simbolo carismatico, vi sono, oltre l’opera citata che comunque già vale il prezzo del biglietto, solo poche altre ma notevoli e significative opere, le sale successive ospitano i più grandi esponenti della scuola di New York, quegli irascibili così definiti per essersi “incazzati” per non essere stati invitati nel 1950 alla più importante mostra di arte contemporanea realizzata dal Metropolitan Museum di New York, rispondendo all’ottusa cecità degli organizzatori con una famosa e arrabbiata lettera che esprimeva il dissenso dei diciotto artisti firmatari e che rivendicava l’appartenenza a una nuova dimensione artistica a torto non considerata e non compresa come nuovo linguaggio pittorico e atto di nascita dell’Espressionismo Astratto americano. Ed ecco così sfilare i capolavori di Willem De Kooning, Franz Kline, Barnett Newman, William Baziotes, Hedda Sterne (così brava da sembrare un uomo, era il complimento maschilista degli altri membri del gruppo), James Brooks, Robert Motherwell e ancora altri fino a terminare con due grandi e stupefacenti opere di Mark Rothko che lasciano senza fiato lo spettatore e concludono mirabilmente il percorso.
La mostra è arricchita da filmati che vedono Pollock direttamente all’opera e da un’interessante videointervista a Luca Beatrice di quindici minuti. Consigliato, anzi, indispensabile, l’uso dell’audioguida compresa nel prezzo del biglietto che permette di soffermarsi davanti alle opere più significative ascoltandone esaurientemente la descrizione, la storia, il concepimento e l’analisi critica sempre a cura di Luca Beatrice. L’esposizione milanese che durerà fino al 16 febbraio 2014, è promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e organizzata da: Palazzo Reale, Arthemisia Group, 24 Ore Cultura-Gruppo 24 Ore, in collaborazione col Whitney Museum of American Art di New York ed è curata da Carter E. Foster e dal nostro Luca Beatrice che citiamo volentieri una volta di più poiché oltre le sue straordinarie competenze come storico di arte contemporanea è conosciuto dai lettori della stampa musicale per la sua rubrica sul mensile Rumore dove analizza le più celebri copertine di dischi della storia del rock (e qualcuno sa quanto chi scrive sia appassionato all’argomento). La proposta artistica di Milano detta Autunno Americano proseguirà dal 24 ottobre sempre a Palazzo Reale con una mostra su Andy Warhol; (e sarà interessante confrontarla con quella di Pisa appena iniziata), un’altra occasione per godere delle percezioni visive della pop art e delle sue derive nel mondo del rock.
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