Charles Bradley VICTIM OF LOVE
[Uscita: 2/04/2013]
Per uno che ha passato una buona parte dei suoi 64 anni a imitare – nel senso letterale del verbo, tipo i finti Elvis a Las Vegas – James Brown, sentirsi paragonare al Padrino del soul può essere il più grande dei complimenti ma anche un reminder del fatto che in fondo sarà sempre un clone. Allora, per toglierci subito l’argomento “originalità” dalle scatole e non pensarci più, diciamolo forte e chiaro: questo nuovo album del resuscitato Charles Bradley è un disco del 1971 dall’inizio alla fine. Ci senti i Temptations psycho-funk plasmati da Norman Whitfield, vedi la pelata di Isaac Hayes e la barbetta di Curtis Mayfield alla scoperta di un coraggioso mondo nuovo, avverti le evoluzioni ipnotiche e sudatissime del suono della Stax, scorgi bagliori di futuro come Inspiration Information di Shuggie Otis o le mutazioni soul-disco dalle strade di Philadelphia. Un ‘71 della mente che il nostro Charles ha vissuto in tempo reale quand’era giovane e forte, aspettando il treno se non della fama almeno del riconoscimento del proprio talento. That son of a bitch – per citare Guy Clark – è arrivato con qualche annetto di ritardo, ma a chi importa quando te ne esci con canzoni così belle, dense, spumeggianti di groove e traboccanti di voglia di vivere e di esserci?
Perché sì, l’originalità non è tutto, e in fin dei conti in questo ambito (come lo chiamiamo? vintage black? Daptone-style?) l’adesione a certi canoni formali scolpiti nella roccia è un pregio e niente affatto un limite. "Victim Of Love" è un disco semplicemente strepitoso, anche se – o proprio perché - privo della minima pulsione da r&b moderno. Che bisogno ci sarebbe, del resto, quando possiedi una voce come questa? Lo stesso discorso che vale per uno molto più giovane e molto meno nero (di pelle) come il nostro Luca Sapio, il cui Who Knows, bomba calorica di classic funk-soul uscito l’anno scorso, è quasi un fratello gemello di questo album. Paradossale ma fino a un certo punto, considerando che il team produttivo è lo stesso, a partire dal capitano-giocatore Thomas Brenneck, la vera regia musicale dietro queste canzoni di amore e desiderio, di caduta e redenzione. Ma adesso basta, abbiamo fatto fin troppi nomi: alla fine, lo show è tutto di una persona, della sua voce virile e orgogliosa tanto quanto vulnerabile e tenerissima, delle rughe che la vita gli ha disegnato sul volto e nell’animo (anche se in entrambi i casi quasi non si vedono). Ti abbiamo aspettato per più di quarant’anni, Charles Bradley, ma adesso che ci sei per favore non smettere più.
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