Olga Bell Край (Krai)
[Uscita: 26/05/2014]
Se sei nata a Mosca e poi molto giovane sei arrivata in Alaska, ormai l’anima russa, con tutto quel complesso meccanismo psicologico che tante pagine della letteratura hanno scavato, non può che esserti rimasta dentro. E’ il caso di Olga Bell, pianista bambina prodigio: il primo concerto lo tenne a nove anni, e oggi è impegnata su molti fronti in una visione della musica totale che supera tutte le barriere di genere e stile, perché se la sua formazione è classica, la Bellnon disdegna la partecipazione a progetti molto diversi, dal pop all’indie, all’hip hop, alle composizioni per spettacoli di danza, dal 2012 fa parte dei Dirty Projectors. In questo “Krai”, parola russa che indica limite, periferia, la Bell fa riferimento a località remote, sperdute nello sterminato bassopiano russo, lontane dalle grandi città e dai centri culturali, conosciute appunto come ‘Krai regions’. Nel libretto una cartina indica il luogo cui si ispira ciascuna canzone. Luoghi dove i riti e le radici hanno un peso straordinario, evocato dalle melodie e dalle atmosfere del disco. Noi siamo trascinati dalle note in un viaggio lungo la steppe eurasiatiche, il vapore si alza dal samovar in un’isba nella bianca notte russa e l’aroma del tè sembra diffondersi insieme alla musica. L’antica terra siberiana, e i suoi riti sciamanici vibrano sospesi fra tradizione e modernità, un binomio che accompagna il disco della Bell, in cui il rispetto e l’amore per una terra e la sua storia e i suoi uomini, i suoi paesaggi, i suoi suoni è letto attraverso occhi e arrangiamenti molto moderni.
Campionatori, sintetizzatori, filtri, sovraincisioni, drones stanno accanto ai suoni degli strumenti tradizionali, violoncello, glockenspiel, vibrafono, percussioni, scacciapensieri, chitarra e basso elettrici. Se le musiche sono molto suggestive, con un potere evocativo capace di proiettare in una dimensione fuori dal tempo, è la voce di Olga Bell ad avere un ruolo di primo piano, il suo canto si muove nelle diverse tradizioni della musica folk russa, e l’uso di sovraincisioni e filtri le consente di creare un complesso intreccio di tonalità estremamente affascinante. Evidente soprattutto l’influenza della strabiliante tecnica delle cantanti siberiane di Tuva, in grado col loro suono gutturale di creare un effetto polifonico. La Bell lo ripropone particolarmente nel brano Altai Krai in cui passa dall’uso delle note basse a quelle più acute, in un arrangiamento in cui spicca il suono basso dello scacciapensieri che si contrappone al lamento del violoncello. Molto importanti le liriche, tutte in russo, quattro sono tratte da canzoni tradizionali, le altre sono della Bell, in cui nostalgia, amore per la terra natia, stupore per la vastità dei paesaggi, malinconia accompagnano le atmosfere echeggiate dagli strumenti: «Come mi piace perdermi nel blu delle colline lontane / di mattina quando la taiga arde come un diamante di rugiada. / Come le aquile gridano nelle nuvole, / Così il respiro della mia terra echeggia in me» (Altai Krai); «Vasta è la mia patria / Steppa e foresta senza fine! / Molti poeti hanno cantato le lodi di questa terra selvaggia» (Kamchatka Krai). Un disco non facilissimo, che ci confronta con sonorità lontane, ma chi vorrà cimentarsi in questo itinerario dentro la grande anima russa non potrà non subirne il grande fascino, complice una musicista di grande talento.
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