Cancelli del Cielo e porte dell’Inferno Michael Cimino
1939 - 2016
Ci lascia Michael Cimino, senza che un suo ritorno sia mai stato neanche solo immaginato nelle variegate vicende del cinema americano (come il “ritorno” di Malick, ad esempio, ma quella è un’altra storia); Hollywood, cinica e amnesica, ha lasciato il suo più grande autore nel limbo dei maledetti, come sospeso ad un punto morto. Senza ritorno, ormai. Una vita “fuori” dal cinema, pur avendo scritto alcune delle più belle pagine della sua storia. Dentro e fuori allo stesso tempo.
Paradiso e inferno. I Cancelli del Cielo. Suo malgrado la storia cinematografica di Michael Cimino ruota intorno a quel film, quel monstrum che poco ebbe di paradisiaco. E si capì da subito, con “I Cancelli del Cielo”, quanto il cinema (hollywoodiano) fosse troppo piccolo per la macchina da presa di Michael Cimino. È il fotogramma stesso ad essere uno spazio, un confine troppo limitato – una cornice che inevitabilmente cerca d’essere travalicata. Andare oltre.
I Cancelli del Cielo: al di là del mito e dell’aneddoto (la United Artist finanziariamente in ginocchio, e la “condanna” del giovane maestro a perdere la sua cattedra da poco conquistata) – la vetta toccata dopo due film già “immensi”, già oltre ogni regola (della vecchia o della nuova Hollywood). ”Una calibro 20 per lo specialista”, nato dal sodalizio con Clint Eastwood (Cimino era stato sceneggiatore del secondo Callahan, “Magnum Force”, cha da Don Siegel passava a John Milius, e al giovane italoamericano spettava lo script), film, questo primo, in cui c’è già tutto quello che verrà. L’America, innanzitutto. Il paesaggio. Se si vuol capire il cinema di Cimino bisogna concentrarsi sul paesaggio, che nei suoi film non è mai cartolina, ma parte della narrazione, personaggio in tutto: i cieli immensi del Montana, o le prime nevi sulle montagne del Colorado – è già tutto lì, prima dell’ingresso degli attori in carne ed ossa. C’è un che di sciamanico in quelle immagini, una sorta di rituale che mira al ritorno alle origini, alla ricostruzione del mito americano atavico: il sistema di valori è semplice, ma la sua declinazione è ambigua e complessa, ha bisogno d’un grande romanzo (per immagini) per essere interpretata nelle sue linee fondamentali, nei suoi meccanismi d’origine.
E poi “Il Cacciatore”, film tra i più grandi della storia del cinema (se non il più “grande”), riflessione da filosofo della natura (umana) su una nazione che manda al macello un’intera generazione. Neanche il “reduce” Oliver Stone riuscirà ad essere così amaro, così disincantato, così disilluso e privo di retorica come il Cimino de Il Cacciatore, e a restare, però, così intimamente e profondamente americano. E ancora una volta ci chiediamo quale America, quale sogno americano. La storia, anzi la Storia, si intreccia inevitabilmente col mito, e l’american dream s’infrange in un Vietnam che non ha nulla di eroico, trauma primordiale per un gruppo di immigrati dell’Est Europa (e gli immigrati torneranno anche ne I Cancelli del Cielo, o ne “L’Anno del Dragone”). Il film più famoso di Michael Cimino (all’epoca è ancora regista giovane e di grandi speranze) è d’una amarezza inenarrabile, un film gonfio di lacrime d’una nazione intera. Sarà la sua apoteosi, celebrata dal pubblico e consacrata da un fiume di Oscar.
Su I Cancelli del Cielo scriveva Enrico Ghezzi nell’83 che il film era: “lo spalancarsi di un abisso mitico”, e la cosa, ovviamente, andava al di là delle note e (più o meno) semplici vicende finanziarie e produttive. Se è vero che siamo in territorio stroheimiano (“Greed” è il prototipo di film-mastodonte dai costi imprevedibili, e “Queen Kelly” è l’apoteosi del film “impossibile”, e per cui sacrificabile), la grandeur di questo film non è solo questione di sforzo nella realizzazione, di meccanismi da kolossal magniloquente (quelli a Hollywood si son sempre fatti, e sempre si faranno). Von Stroheim e Cimino condividono altro, oltre alle beghe e difficoltà coi produttori; essi interpretano la grandezza come travalicamento del confine (che è prima di tutto il confine della pellicola) nell’idea che il cinema debba essere la realizzazione dell’impossibile – un (non) luogo dove tutto può e deve essere realizzato, dove il limite non esiste (c’è più Werner Herzog, Stanley Kubrick in questa visione del cinema che la logica del kolossal, dove spesso i cieli sono dipinti e le nuvole sono di cartapesta: i cieli di Cimino sono l’America per quello che è e per quello che dovrebbe essere). Se ne ricorderà Leos Carax al tempo degli “Amanti del Pont Neuf”.
Come i suoi colleghi della nuova Hollywood, Cimino ha del cinema e della regia un’idea “europea” (quella che, per semplificare molto, viene dalla linea neorealismo/nouvelle vague e vede il regista centro d’un lavoro di collaborazione di cui lui resta però autore), ma mentre gli altri (sia pur spesso difficilmente) troveranno quel compromesso che permetterà loro di (provare a) rinnovare Hollywood dall’interno, la radicalità della scelta del regista di “Heaven’s Gate” porta con sé inevitabilmente lo scontro, e il fallimento. Il gioco hollywoddiano non fa per lui. Perciò la sua carriera, da quel punto di vista (ma solo da quello), va avanti a singhiozzi [“Verso il sole” ("The Sunchaser"), ultimo vero lungometraggio, del 1996, è ancora grande cinema, scheggia d’anarchia peckinpahiana in una America già tarantiniana; ma negli Stati Uniti uscirà in video, senza passare per la sala, come un tv-movie qualsiasi].
E cito ancora Ghezzi: “Completamente affondato nel cinema, paga integralmente le contraddizioni di chi vuole sfidare la tendenza all’infinitamente piccolo […] cercando il parossismo produttivo nel ‘grande’”; e ancora (forse nell’analisi più lucida che su Cimino sia stata fatta): “I suoi film ‘enormi’ annegano nell’enormità e nella piccolezza del cinema”. Muore senza eredi (Paul Thomas Anderson?), un regista suo malgrado maudit, e con lui un cinema ormai scomparso la cui grandezza va ben oltre le casse d’uno studio di produzione.
Filmografia
Una calibro 20 per lo specialista (Thunderbolt and Lightfoot) (1974)
Il cacciatore (The Deer Hunter) (1978)
I cancelli del cielo (Heaven's Gate) (1980)
L'anno del dragone (Year of the Dragon) (1985)
Il siciliano (The Sicilian) (1987)
Ore disperate (Desperate Hours) (1990)
Verso il sole (The Sunchaser) (1996)
No Translation Needed, episodio di Chacun son cinéma (2007)
Bibliografia
E. Ghezzi, Oltre i cancelli, il cielo, in Paura e Desiderio, Milano, Bompiani, 1995
J.B. Thoret, Sur la route avec Cimino, “Cahiers du Cinéma”, 671 (ottobre 2011)
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