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29 Novembre 2019

Tim Buckley Live At The Electric Theatre Co. Chicago, 1968

Edsel / Manifesto Records

Sempre più difficile per chi scrive di musica trovare nuovi aggettivi e termini elogiativi quando si parla di Tim Buckley, uno degli artisti più straordinari che abbiano attraversato la scena musicale a cavallo fra i Sessanta e i Settanta. Nell’era digitale di internet, insieme a Nick Drake è probabilmente il musicista che ha ricevuto la più grande rivalutazione, oltre che molti attestati di stima da pubblico e critica che tanto gli sono mancati quando era in vita. Sì, perché al pari del grande inglese di Tamworth-In-Arden anche Buckley ci ha lasciato molto presto, a soli 28 anni, quando aveva ancora tanto da dare al mondo della musica. In questi ultimi anni la sua figura è diventata oggetto di culto, non più soltanto per i soliti ricercatori di gemme preziose e collezionisti di vinile ma anche per un pubblico di giovani e meno giovani che sia pur tardivamente ha scoperto una delle voci più sublimi mai ascoltate negli ultimi 50 anni. Parte del merito di tutto questo è da ascriversi al compianto figlio Jeff che con un album come “Grace” (1994) ha fatto sì che pure il nome dell’illustre genitore venisse ricercato e riscoperto da una grande fetta di ascoltatori. Questa sorta di resurrezione musicale di Tim Buckley ha creato un vortice di interesse incredibile intorno alla sua figura al punto che adesso le pubblicazioni postume a suo nome superano numericamente quelle ufficiali, ovvero i nove album di studio incisi nel periodo 1967-1974. La cosa che fa sorridere ma al tempo stesso irritare è che si tratta di testimonianze di valore inestimabile, concerti interi che delittuosamente erano rimasti nell’oblio, lasciati ammuffire in archivi di (colpevoli) case discografiche o vecchi studi di registrazione. Ha cominciato la Demon nel 1990 dando alle stampe “Dream Letter: Live In London, 1968” uno dei più grandi album solistici della storia, ma monta una rabbia terribile per aver dovuto aspettare tanto tempo per ascoltare un lavoro così clamoroso. A ruota, sono usciti altri concerti che svariano e coprono un arco di tempo che parte dal 1967 fino al 1973 con tutto quello che ci sta nel mezzo. Non stiamo a fare un elenco, vi basti sapere che qualsiasi supporto musicale con ben impresso il nome di Tim Buckley è irrinunciabile. L’anno scorso la Edsel ci ha deliziato con i due bellissimi live “Greetings From West Hollywood” e il doppio “Venice Meeting Call”, a testimonianza di due apparizioni al celebre Troubadour di Los Angeles nel 1969. Con questo meraviglioso “Live At The Electric Theatre Co, Chicago, 1968” torniamo indietro di un anno, nel 1968, quando Tim Buckley galleggiava fra il secondo e terzo album, i favolosi “Goodbye & Hello” e “Happy/Sad”. Non si tratta di un concerto completo ma del meglio di due performances a Chicago del maggio 1968 quando Tim si presentò accompagnato dal fido C.C.Collins e da un bassista rimasto sconosciuto e che le note del disco non ci aiutano a scoprire. Rispetto all’altro live del periodo, il già citato "Dream Letter: Live In London, 1968", abbiamo una formazione ridotta, visto che a Londra Buckley aveva nella line up il fido Lee Underwood alla chitarra, il grandissimo Danny Thompson (Pentangle) al basso oltre a David Friedman al vibrafono. Ma all’ascolto delle 14 tracce qui presenti non sembra di trovarsi di fronte ad un ensemble ridotto a trio visto che Tim sfrutta al meglio le sue prodigiose corde vocali usandole in pratica come uno strumento aggiuntivo. Registrazione d’ottimo livello considerato che stiamo parlando del 1968, master di Bill Inglot, scelta delle covers davvero azzeccata, le esecuzioni sono d’una forza e di un pathos pazzeschi, c’è tanta improvvisazione in questi nastri e la voce del Buckley ventenne è ai suoi massimi livelli espressivi. A questo riguardo, si ha come l’impressione che qualsiasi cosa cantasse Tim Buckley venisse trasformata in qualcosa di clamoroso, anche le cover version parevano composizioni proprie tanto erano personali. Non sappiamo né forse sapremo mai la set list completa di queste due esibizioni di Chicago, fatto sta che i primi due album di studio sono stati ignorati nelle scelte delle canzoni e solo quattro hanno trovato posto negli album ufficiali. Si tratta di Happy Time da “Blue Afternoon” e Sing A Song For You e Gypsy Woman da “Happy/Sad”, quest’ultima in una rara e inedita short version di quattro minuti scarsi. Infine c’è la bella sorpresa di Dolphins, brano capolavoro di Fred Neil, che Buckley inciderà solo nel suo ottavo album “Sefronia”(1973), qui in una interessante versione di oltre sette minuti. Sono stati in tanti a trovare affinità stilistiche fra Tim Buckley e lo stesso Fred Neil, qui ne abbiamo una conferma visto che il primo recupera (alla grande) due songs come Looks Like Rain e Roll On Rosie che trovavano spazio in “Sessions” (1968) dello stesso Neil. Pare che i due avessero lo stesso manager e vivessero per un breve periodo nella abitazione di Herb Cohen, quindi non ci vuole molto a capire come Tim conoscesse le canzoni di Neil molto bene. In fondo, sono proprio le improvvisazioni vocali il piatto forte di questi due cd, come sempre accade in tutte le registrazioni live di Tim Buckley, quelle tracce ad ampio respiro dove il Nostro non si fa pregare ed offre performances vocali che stanno al pari o addirittura oscurano anche live quotati come “It’s Too Late To Stop Now” del grande Van Morrison. Ci sono i sedici minuti di Wayfaring Stranger, una canzone popolare inglese che un po' tutti i grandi hanno cantato e che era spesso presente nel repertorio di Tim, visto che era presente anche in "Dream Letter: Live In London,1968", così come Hi-Li, Hi-Lo, canzone in origine da cabaret di una certa Helen Deutsch. Per chiudere il cerchio, abbiamo un altro classico come Sally Go Round The Roses, un medley con dentro Green Rocky Road, ancora di Neil (!), The Father Song, già ascoltata in “Works In Progress” della Rhino (1999) e una splendida versione di Big River di Johnny Cash di quasi otto minuti. Arrivati a fine narrazione, appare superfluo sottolineare ancora come “Live At The Electric Theatre Co, Chicago, 1968” sia un'altra perla preziosa da aggiungere alla ricchissima gioielleria firmata Tim Buckley e che non ci stancheremo mai di stupirci ma soprattutto di ascoltare altre registrazioni inedite di questo livello. I due cd vengono offerti ad un prezzo di mercato assolutamente ragionevole, così potete avere tutta per voi la voce più incredibile dell’America dei Sixties nella più ghiotta operazione di recupero storico del 2019. Una follia rinunciare a tanta bellezza.

Voto: 9/10
Ricardo Martillos

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