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23 Dicembre 2016 , , ,

Senhor MuTrìo MONTE CUCCIO N° 5

14 ottobre 2016 - Autoproduzione

Quattro o cinque sono le anime musicali che convivono all’interno del corpo dei Senhor MuTrìo, classico triangolo chitarra (Samuele Spilla, anche limpida voce del terzetto), basso (Antonio Mancino) e batteria (Dario La neve) che si discosta notevolmente dal trio che si potrebbe immaginare in ambito rock essendo lontano da durezze e pesantezze hard o metal e proponendo invece una miscela di musica raffinatissima e intelligente, tra atmosfere sudamericane e canzone d’autore, come poche volte ci è stato dato di ascoltare in un album di esordio.

Coadiuvati dalla tromba e dal flicorno di Samuele Davì, accreditato come ospite esterno, ma membro a tutti gli effetti, visto il protagonismo quasi assoluto dei suoi fiati nell’economia dell’album, i tre ragazzi palermitani si divertono e ci divertono con un prodotto di prima categoria nel panorama odierno della musica italiana.

E tra le anime che si diceva ecco lo swing midtempo de L’isola, che apre l’album, quello più lento e meditato di Dottoressa Formica, la samba sfacciata di Monte Cuccio n° 5 e quella ritmicamente Santaniana di Carovana.

Ancora splendida e delicata samba brasiliana che potrebbe causare invidia agli Everything But The Girl è Viagem, cantata in lingua madre, mentre a chiudere la parentesi parasudamericana Samba Del Navigante coniuga ritmica e accordi “brasileri” con la canzone d’autore nostrana in un magnifico connubio che sfiora l’eccellenza.

Sì, perché se l’influenza principale del trio sono i suoni e i ritmi del Sudamerica, che pur vengono sviluppati con capacità innegabili, è forse nella manciata di canzoni “cantautorali” che il gruppo dà il meglio di se stesso: Enea è un brano stupendo senza mezzi termini, degno del medagliere delle migliori canzoni italiane degli ultimi anni, Sulla Tua Porta, con echi lontani del miglior Sergio Cammariere, gli sta subito appresso, mente Volturna e La Via In Blues non si discostano dalla brillantezza delle precedenti.

Dopo un cenno doveroso ai bellissimi e intelligenti testi che, senza ricorrere a trovate pseudopoetiche, si aggrappano a un’acuta asciuttezza e a un vago ermetismo mai banale e di grande interesse, segnaliamo l’unica pecca dell’album che perdoniamo a fatica: gli insopportabili e inutili cinque minuti di silenzio che dividono l’ultimo brano dalla fantomatica ghost track (ma ancora si fanno queste cose?) che si rivela comunque un magnifico blues canonico (Mistreatin’ Baby) con tanto di armonica e cantato in inglese, unico peccato veniale di un album eccellente; uno di quelli che fanno rammaricare il recensore che li vorrebbe a conoscenza di un pubblico più vasto e possibilmente internazionale come meriterebbero.

Maurizio Pupi Bracali

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