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24 Gennaio 2014

I Nastri I NASTRI

2013 - Autoproduzione/Costello’s

inastri14 canzoni nelle quali troviamo davvero di tutto un po’. La prima, Nero, con quelle chitarrine pulite che vanno avanti sempre dritte nelle loro ritmiche, quella melodia un po’ sbarazzina e quel sovrabbondare di archi, fa un po’ troppo Lunapop degli esordi, ma dopo questa falsa partenza (che comunque avrebbe tutte le potenzialità e l’energia di un potenziale singolo), la situazione si risolleva con l’energica Love Love Love: cori che fanno tanto West Coast, ricami melodici tra beat italiano anni ’60 e psychedelia, un po’ di Byrds e un po’ di Beach Boys, sintetizzatori persino un po’ prog-rock e un Hammond alla Stevie Winwood, gran pezzo, eclettico e cangiante, dove in 3’ 15” succede di tutto. Sorprendente cambio di registro con la successiva Umano: pianoforte scintillante degno della E-Street Band e ritmiche degne della Motown per questa canzone azzeccata tra beat e soul, con un ritornello “catchy” da matti, finto-allegro ma con qualcosa di struggente tra le righe. Il pop italiano di miglior fattura, con un sapore meno “vintage” e più attuale, affiora in Niente è importante, altro brano “cullato” da una cadenza melanconica, dal bel finale in crescendo. E rifacciamo un balzo indietro, nel pieno della psychedelia anni ’60, quando le band inglesi andavano in massa a fare il bagno nel Gange: queste le atmosfere che si respirano in Come me. La lezione del George Harrison più mistico qui è forte. Come nei film è tutto un tintinnio di piccole percussioni intonate ben sorrette da orchestrazioni robuste: qui nelle parti strumentali la ricerca del sovrarrangiamento è quella dei Mercury Rev, ma è il cantato che stavolta non è all’altezza della base strumentale, così ammiccante al gusto italo-radiofonico attuale. Peccato. 

 

Che vuoi che sia è il brano con le chitarre più rock e un ottimo supporto tastieristico giocato soprattutto tra piano e Hammond, ma lo spettro di Cesare Cremonini, che purtroppo aleggia in molte tracce del disco, riaffiora in modo fastidioso. Le sonorità new-prog di Il Crollo, un po’ spigolose nelle ritmiche e nei tappeti, fanno pensare nuovamente ai Mercury Rev, con un fantastico inserto beatlesiano che ne fa uno dei titoli migliori del disco. In Non ci ho messo tanto troviamo un inaspettato basso distorto, che ben fa da eco a piccoli “scoppiettii” tastieristici e a una voce all’inizio gustosamente filtrata. Forse, al contrario della traccia precedente, non uno dei momenti migliori, ma di certo uno dei piùinastri sperimentali, con i suoi chiaroscuri quasi lounge e trip-hop. Sette, da questo punto di vista, ricalca in parte le stesse coordinate. Corri se mi senti su un ostinato pianistico ci ripropone l’abbinamento tra sintetizzatori molto seventies, tra funk, jazz-rock e prog, e ritmiche trip-hop. Nelle favole ricalca quello schema tra arrangiamenti solenni (con uno splendido Mellotron in primo piano) à la Mercury Rev e melodie vocali di gusto tanto (troppo?) italiano. Non sento più è di nuovo profumata di beat italiano anni ’60, tra tastiere vintage, chitarre acustiche e vivaci percussioni intonate che fanno tanto Little Wing. Chiudiamo con Un colpo al cuore, tra Moorcheeba e Garbage, eccezione fatta per il cantato maschile e in italiano. Alla fine un disco suonato in modo ineccepibile e con una produzione sonora a dir poco eccelsa, a cui manca solo quel pizzico di coraggio in più per diventare memorabile.

 

Alberto Sgarlato

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