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27 Maggio 2015 , ,

Walden Waltz ELEVEN SONS

2015 - Santeria / Audioglobe

Walden Waltz ELEVEN SONSVengono da Arezzo i componenti dei Walden Waltz, stesse terre che ci hanno donato le magiche atmosfere dei Sycamore Age, e in qualche modo questo disco d'esordio rimanda alla banda di Francesco Chimenti, il quale non a caso insieme ad altri membri della band è presente come ospite al disco, innanzitutto per la grande varietà degli strumenti utilizzati e per l'abilità con cui sanno destreggiarsi fra rimandi musicali diversi in arrangiamenti fantasiosi e mai banali, ma anche l'approccio alla psichedelia accomuna i due gruppi privilegiando atmosfere dilatate, sognanti, con una forte connotazione misterica e onirica, surrealista?, infine l'uso della voce, che anche nei Walden Waltz, autentico strumento, si caratterizza per i toni lirici e morbidi, per librarsi verso cieli eterei e poi abbandonarsi nelle malinconie del profondo.

 

Detto questo, i WW manifestano una loro spiccata personalità che sa orientarsi fra influenze e suggestioni diverse con spirito libero e avventuroso. Così se So They Say, il brano iniziale, e gli altri che seguono subito dopo nella scaletta rimandano ai Beatles più psichedelici e mistici, Move Ahead vibra di India riletta da George Harrison, poi ci si sposta verso i territori oscuri fra synth e mandolino di How Long, mentre il folk psichedelico sognante di You'll Be Home fra cori da elfi dei boschi, chitarre acustiche, elettronica onirica e suggestiva, è il brano che più di ogni altro si avvicina ai già citati Sycamore Age. The Fair and the Hermit ci dà il commiato con un brano molto barrettiano, degna conclusione di un ottimo esordio nel quale psichedelia mistica, folk, prog e influssi canterburiani trovano magnifica espressione.

 

Il disco è autoprodotto mentre Ron Nevison (Led Zeppelin, Who, Rolling Stones) che già aveva prodotto il loro primo singolo Looking Down che gli ha già fatto vincere un prestigioso premio in quel di Los Angeles ne curerà la promozione in USA. Già perché i Nostri si sono fatte le ossa proprio oltreoceano con un lungo tour che li ha portati sulle due coste americane, una gavetta faticosa, ma evidentemente fruttuosa se, una volta tornati in patria, hanno saputo darci, con questo Eleven Sons uno dei migliori e più promettenti debutti sulla scena italiana. Il titolo rimanda evidentemente alle undici tracce che il disco contiene, ma anche a un racconto di Kafka dal medesimo titolo. Echi dello scrittore praghese si possono trovare nei testi, tutti in inglese, per il senso di inquietudine, incertezza, vagabandaggio che spesso vi si trova.

 

Ignazio Gulotta

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