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27 Febbraio 2013

Forest of Veils Forest of Veils

2013 - Autoproduzione

forest of veilsForest of Veils è il nome di un nuovissimo progetto musicale che si presenta sulla scena indipendente italiana con questo omonimo EP di cinque tracce. Si tratta di un duo formato da Francesco (chitarra, basso e altra voce) e Alessandro (voce), meglio noti con i loro rispettivi acronimi di Franky Maze e Gregor Samsa. La loro proposta è una ideale sospensione tra dark e folk misticistico. In particolare riprende le fila di certe raffinatissime trame new wave che furono fatte proprie dai Chameleons e dai Death of June (in parte dai Coil e dai Sol Invictus) che spaziarono verso un linguaggio capace di coniugare introspezione romantica e poetica malinconia, tra evanescenti morbidezze e plumbee e surreali visioni decadenti. I brani sono giocati molto sui contrasti luci - ombre e sono arricchiti da arrangiamenti elaborati ma sempre fluidi e ben armonizzati.

 

Nel disco c’è la collaborazione di Giuseppe Sansolino (Lia Fail, WePlayForCash) alla batteria e dei poli strumentisti Matteo e Mario Zambrini. Colpisce moltissimo la ricercatezza delle atmosfere ed il piglio sapiente con il quale vengono attinte e assemblate senza mai risultare decontestualizzate. Una forma di spleen etereo ma mai depresso, mai appesantito da cupezze o morbosità eccessive. A scaldare le atmosfere contribuisce molto l’inserto del corno, il gioco ammiccante delle voci e le diluizioni sempre riprese da soluzioni fantasiosamente ritmate. Dance of the Mice è mossa da riverberi corali e screziature lievi di fisarmonica. Ci introduce in una dimensione onirica costernata da sentori gitaneggianti unendo magnificamente impalpabile evasione e paganesimo folkloristico; colori lievi e acquatili e le sgargianti cromature delle terre.

 

Odysseus con i delicatissimi arpeggi in acustica, la eco, il gioco dei richiami ed il bellissimo assolo finale smorzato da una voce in sussurro e da morbide scansioni di corno, mostra certamente un’estetica molto ben definita, un gusto e una rifinitura di dosaggi difficile da ravvisare nell’ancor spoglio bagaglio esperienziale di un gruppo esordiente. La lievità con cui si precipita da fasi solenni e quasi da cerimoniale ad intimismi e raccoglimenti amniotici, in cui tutto diventa scarno e rarefatto minimalismo. Claws on the Corn e Koyaanisqatsi, cuore pulsante del disco, brani che in assoluto raccolgono e condensano le sfaccettature mostrate nel resto del lavoro, nel secondo in particolare la presenza della batteria diventa incisiva e rompe piacevolmente la stasi di evanescenza creando uno stacco e un crescendo molto suggestivo. Un debutto completo, maturo, intenso e brillante che ci rivela personalità forgiate ma non irretite dalla lezioni del passato, acute nel raccogliere spunti e nel rielaborarli con brillante fantasia, estro ed eleganza.

 

Romina Baldoni

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