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10 Febbraio 2014

George Martin L’estate di Sgt. Pepper. Come i Beatles e George Martin crearono Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band

2013 - La Lepre

Che Sir George Martin venga considerato il "quinto Beatle” lo sappiamo ormai tutti, per lo meno per sentito dire. Sappiamo anche, più o meno genericamente, che il suo lavoro come produttore è stato importantissimo per la band di Liverpool. Ma quali effettivamente siano stati i suoi interventi concreti è certo meno risaputo. In questo libro, uscito nell'edizione originale ("Summer of Love. The Making of Sgt. Pepper") nel 1995 e incredibilmente rimasto senza traduzione italiana fino al 2008, quando fu pubblicato dalla casa editrice Coniglio, George Martin ce lo racconta in prima persona. Ed è proprio il fatto che sia lo stesso Sir Martin a raccontare, di suo pugno, i dettagli tecnici e aneddotici della storia di quell'album che rivoluzionò il modo di fare musica a rendere incredibile il ritardo nella traduzione italiana, e lodevole il lavoro di La Lepre Edizioni, che l'ha riproposta nel 2013, nella stessa versione curata allora da Paolo Somigli, direttore della rivista "Chitarre". E di aneddoti, curiosità, retroscena su quei cinque mesi del 1967 in cui i Beatles lavorarono al loro ottavo album, "Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band", negli studi della EMI ad Abbey Road, in questo racconto ce ne sono davvero tanti e di certo anche i beatlesiani più accaniti troveranno pane per i loro denti. Ma non solo loro. Chiunque sia interessato al mondo della musica, da qualsiasi punto di vista, non potrà non apprezzare questo spaccato sul modo in cui nasce un disco così innovativo e sui metodi di lavoro di una band di successo come i Fab Four. Se qualcuno pensasse che il successo planetario dei Beatles fu un fatto casuale, cambierebbe di certo la sua opinione dopo la lettura di questo volume. Si è trattato piuttosto di un'alchimia particolare e molto efficace tra la creatività dei quattro baronetti e l'esperienza e le capacità tecniche di chi lavorava con loro in sala d'incisione. Primo fra tutti George Martin, sempre pronto a trasformare in realizzazioni concrete le idee, a volte apparentemente folli, che principalmente Lennon e McCartney gli portavano; ma c'erano anche tutti i tecnici degli studi della EMI, che erano comunque all'avanguardia, pur con la primitiva tecnologia disponibile a quei tempi.

 

George Martin sviscera tutti i particolari di quelle sessioni di registrazione, dedicando un capitolo del libro a ognuno dei tredici brani dell'album, oltre che alla famosa copertina creata da uno dei fondatori della Pop Art britannica, Peter Blake (e da sua moglie Jan Haworth) e si sofferma anche su due brani precedenti, strettamente collegati a "Sgt. Pepper", come Strawberry Fields Forever e All You Need Is Love. Nel raccontare, con tono appassionato e stile fluido, Martin torna a volte agli inizi, cioè all'incontro tra lui, i Beatles e Brian Epstein. Epstein era il manager che, dopo aver incassato il rifiuto della Decca, li aveva proposti a Martin, il quale aveva visto in loro un certo potenziale: «Avrebbero mai potuto i Beatles diventare la mia gallina dalle uova d'oro? Ne dubitavo. C'era però in loro qualcosa che non riuscivo ancora a mettere a fuoco, qualcosa di interessante e se non altro nuovo». La collaborazione con George Martin si trasformerà presto un'amicizia basata sul reciproco rispetto e sulla fiducia.

 

Nella lavorazione dell'album la parte dei musicisti era dunque la creazione dell'idea, spesso scaturita da quella "emulazione creativa" tra Lennon e McCartney, che «ha contribuito a mantenere i Beatles saldamente in cima alla vetta. John scriveva In My Life, e si saliva di un livello. Allora Paul rilanciava, raggiungendone uno più alto con Yesterday. Spesso di aiutavano a vicenda, se uno dei due era in blocco creativo, e questo spiega la doppia paternità di alcune canzoni. Nella maggior parte di casi comunque si spronavano a vicenda (...)». E, aggiunge Martin: «Sono fermamente convinto che se John non avesse mai incontrato Paul, o viceversa, per entrambi sarebbe stato impossibile diventare gli straordinari songwriters che conosciamo. Sarebbero stati grandi, ma non stratosferici, come milioni di noi li considerano oggi». La parte dei tecnici consisteva, invece, nel cercare di ottenere il miglior risultato concreto possibile da quelle idee, con i pochi mezzi tecnici allora a disposizione. Si trattava quindi, per esempio, di creare effetti sulle voci, soprattutto su quella di Lennon che lui, insoddisfatto, chiedeva sempre di distorcere o alterare per "migliorarla", attraverso variazioni della frequenza di registrazione per abbassare o alzare i toni (che raggiungono il massimo in Lucy in the Sky with Diamonds), oppure di inventarsi degli effetti sonori nei modi più disparati. Il tutto andava fatto avendo a disposizione un master con solo quattro tracce per incidere (e sovraincidere) le varie parti (oggi lo standard è di 48 tracce e si può registrare e lavorare un elemento su ogni traccia), strumenti, effetti, voci, e quindi con poco margine di errore possibile.

 

Nonostante tutto, dopo cinque mesi di lavoro, il primo giugno 1967 l'album arrivò nei negozi e cominciò subito la scalata: 250 mila copie vendute nel Regno Unito solo nella prima settimana, che salirono a 500 mila nel mese. Pubblico e critica entusiasti e vendite in crescita costante. Il sogno dei quattro Beatles di creare qualcosa di diverso si era realizzato ed era evidentemente quello di cui il loro pubblico aveva bisogno. Ma quel sogno venne offuscato solo qualche mese dopo, quando il 27 agosto 1967 Brian Epstein fu trovato morto nella sua camera per un overdose di farmaci. Proprio con questo triste epilogo si conclude la testimonianza di George Martin in questo libro.

 

Rossana Morriello

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