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13 Agosto 2020 ,

Steve Von Till No Wilderness Deep Enough

2020 - Neurot Recordings
[Uscita: 07/08/2020]

Nella musica di Von Till residuano le tensioni di un’apocalisse ancora a venire con i colori di un’alba cremisi sull’ultimo giorno del mondo conosciuto dagli uomini. “No Wilderness Deep Enough” viene pubblicato a distanza di cinque anni da “A Life Unto Itself”, album che faceva emergere il proprio debito di riconoscenza verso un folk radicato nelle cupezze di Townes Van Zandt, sviluppato in un guscio di dolente slowcore. Se “A Life Unto Itself” conservava qualcosa che aveva il senso di un perfetto equilibrio sospeso tra l’attitudine di Von Till e quella post metal dei Neurosis, il nuovo album si allontana in qualche misura da quella direzione, pur restando saldo nella dimensione di una profonda introspezione dello spirito attraverso una visione di ineluttabilità del presente. I nuovi brani nascono inizialmente come strumentali, meri sintetici afflati immateriali di droni e tastiere dalla consistenza ambient; dopo avere ascoltato alcune registrazioni, Randall Dunn dei Sunn O))), il quale si è anche occupato della produzione dell’album e delle partiture degli archi, ha convinto Von Till ad aggiungere le parti vocali, contribuendo così a dare vita ad un prodotto del tutto diverso rispetto alle intenzioni originarie. “No Wilderness Deep Enough” segna l’abbattimento di ogni difesa interiore, la nudità della vita di fronte all’abisso delle inquietudini, come fosse l’inizio del buio nelle profondità di un folto bosco in cui si consumano riti esoterici di passaggio. La musica diventa maggiormente densa, le chitarre scompaiono a vantaggio di un impianto che valorizza l’elemento sintetico, reiterato e sviluppato all’interno di un corpo pulsante di materia vitale a cui gli archi ed i fiati insufflano ossigeno in ogni singola fibra. Il lavoro alla produzione di Randall Dunn porta a compimento un processo creativo che determina una quadratura nelle soluzioni armoniche che punta ad esorcizzare una malinconia latente dell’anima, con risultati di enfasi e drammaticità mai fine a se stessa. La voce scavata di Von Till è l’elemento aggiuntivo di una dinamica che punta complessivamente alla sottrazione, nonostante la cura stratificata nei dettagli. L’opener Dreams Of Trees è una toccante liturgia pagana del perdono la cui litania si poggia su archi dolenti alla Rachel’s, The Old Straight Track è una lunga scia cosmica dell’antimateria del dolore satura di una gravità oscura che risucchia ogni forza residua nel gesto estremo di resistere alla fine. La struttura circolare di Indifferent Eyes rappresenta l’elegia della Natura come forza meccanica nelle cui maglie ci si perde, mentre in Trail The Silent Hours si avverte un sostrato di immaterialità crepuscolare alla Fripp – Eno. Shadows On The Run è solo voce e archi con lievissime scarificazioni sintetiche, mentre i rintocchi di piano della conclusiva Wild Iron delineano un paesaggio bruciato da un fuoco che ha liberato spiriti inquieti, con inflessioni alla Sigur Ros nella elaborazione della nostalgia. “No Wilderness Deep Enough” è un approdo e non un semplice passaggio, il lavorio della sensibilità di chi è in cerca di una dimora pacificante. Disco da elaborare con quella lentezza e attenzione che si deve a qualcosa di fragile, ma in grado di sprigionare luce radiante.

Voto: 7.5/10
Giuseppe Rapisarda

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