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15 Maggio 2015 ,

Songhoy Blues MUSIC IN EXILE

2015 - Transgressive Records U.K.
[Uscita: 23/02/2015]

Mali   #consigliatodadistorsioni

 

screen_shot_2014-11-19_at_11.09.55__largeCi sono mille ragioni per parlare di, ma soprattutto per ascoltare, questo disco. La prima è che, in uno scena rock dove le proposte nuove in grado di lasciare il segno latitano e le migliori sorprese vengono da vecchi e stanchi leoni, una band come Songhoy Blues così, viva ed energica, ispirata e fresca, giovane ma già in possesso di un linguaggio musicale affascinante e al pari travolgente, è una vera sorsata di acqua fresca in Agosto. La seconda è la provenienza, Mali, il cuore dell' Africa, certamente il suo cuore musicale pulsante. Da queste terre provengono musicisti straordinari; il capostipite fu Ali Farka Tourè, il primo dei musicisti maliani ad acquisire fama mondiale, grazie al suo disco in compagnia di Ry Cooder in veste di musicista e produttore, il fantastico “Talking Timbuctù“ (Hannibal Record, 1994). Tourè, morto nel 2006, era di etnia Songhay come i quattro componenti della nostra band. Più recentemente sono apparsi sulla scena internazionale, mentore nientemeno che Robert Plant, i conterranei, ma di etnia Tamashek (o Tuareg), Tinariwen, mentre è storia recente il debutto dei giovanissimi Tamikrest, a loro volta sponsorizzati da Chris Eckman, fondatore degli straordinari The Walkabouts. Abbiamo insistito sull'origine di tutti questi musicisti perché, trattandosi di Africa, le vere e proprie guerre dei poverissimi, per odi etnici, motivi religiosi o influenze più ...occidentali, sono frequentissime e proprio una rivolta è stata una delle circostanze che ha portato alla nascita di Songhoy Blues.

 

Nel 2012 il nord del paese viene conquistato in tempo brevissimo da una coalizione di Jihadisti e Touareg: questi prendono temporaneamente il potere nelle città di Gao e Timbuctù, con conseguente imposizione della Shari'a islamica e chiusura di qualsiasi locale pubblico. Anche la musica è proibita, i musicisti minacciati ed, in alcuni casi, incarcerati o uccisi. Aliou Tourè (voce e chitarra) e Oumar Tourè (basso) sono originari appunto di Gao che, divenuta capitale dello stato dei ribelli e schiacciata dalle assurde proibizioni bigotte, non è più posto salutare per entrambi; i due scenderanno a Songhoy_Blues_201410_©_Andy_Morgan-6sud, a Bamako, dove incontreranno l'amico Garba Tourè (curiosamente i musicisti non sono parenti, Tourè è il cognome più comune in Mali), fuggito a sua volta da Dirè, sua città natale posta poco a sud di Timbuctù, a causa delle minacce dei Jihadisti, e si ritroveranno a suonare assieme in occasione di feste e matrimoni. Ad essi si unisce il batterista locale Nathanael Dembelè ed il gioco è fatto, la band comincia a scrivere un repertorio e a suonare nei locali, la voce si sparge e i quattro songhoy finiscono sotto gli occhi dei soliti musicisti occidentali che ne faranno, almeno fino ad oggi, la fortuna. Si tratta questa volta di Damon Albarn, attentissimo promotore del progetto Africa Express, (una lodevole iniziativa che sostiene la scena maliana pubblicando dischi e promuovendo tournèe collettive dei musicisti, un po' come capitava col blues nero in Europa negli anni '70), e di Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeahs che, colpito dalla travolgente energia della band, diverrà un membro aggiunto in occasione delle registrazioni di questo “Music in Exile”.

 

 

Zinner coproduce il disco e suona chitarra, percussioni ed organo, lasciando la sua impronta in tutti i pezzi tranne che nel conclusivo Mali, brano acustico, ballata tradizionale, malinconico ricordo di uno stato e di una pace che non c'è più: oggi non si sentono i sussurri della natura o i suoni degli animali ma è il crepitio degli AK 47 a ferire le orecchie e l'anima. La musica, quindi, il disco. Sarebbe fin troppo facile tirare in ballo il vecchio Ali Farka o i Tinariwen, per altro già diversissimi fra loro. Qua c'è dell'altro. La prima cosa che SonghoyBlues_OG1200x630colpisce, trattandosi di un disco africano, è la durata dei brani. Niente ballate afrojazz di lunghezza sconsiderata in stile Fela Kuti, nessuna lunga esplorazione boogie-african Hooker alla Ali Farka, non troviamo neanche le divagazioni psycho blues in stile desertico proprie dei Tinariwen, qua tutto è più cittadino, 4 minuti e 20 per Petit Meltier, il pezzo più lungo, tradizionale e giocato sul l'alternarsi di voce solista e cori, uno dei più tranquilli in realtà, la media è di 3 minuti e mezzo a brano, praticamente la durata di un singolo europeo. Questa è musica di giovani uomini suonata per altri giovani uomini, è musica che fa riflettere per i temi, ma che fa muovere le gambe perché è fatta per essere vissuta live: il ritmo è quello urbano songhoy, rari strumenti tradizionali, il suono è quello di chitarra-basso-batteria come i moderni gruppi rock, giusto sostenuti dai cori sempre presenti nel vecchissimo continente e copiose percussioni che non annoiano e mai scadono in effetti da bonghista del sabato sera.

 

Anzi, il suono è compatto, a partire dall' iniziale singolo Soubour con Damon Albarn ai cori, sicuramente l'episodio con la chitarra più “occidentale” sostenuto da un riff tipicamente electric blues. Si prosegue con la più tradizionale ma non meno energica Irganda” che introduce Al Hassidi Terei, un'altro dei singoli estratti, splendido equilibrio fra influenze etniche e urgenza. Il lavoro procede con brani più legati alla tradizione ed a suoni songhoy-bluespiù antichi (Seikou Oumarou) o autentiche sferzate rock: Nick potrebbe essere un brano di Talking Timbuctù, ma a velocità doppia. Ai Tchere Bele si gioca sul dialogo fra chitarra e un'anomala batteria, si continua a ballare con Wayei, mentre Jolie è il brano più in stile Hooker Boogie con le chitarre continue in sottofondo. Ci resta Desert Melodie, un'atmosfera questa volta davvero alla Ali Farka per un testo che, spiega il cantante Aliou Tourè, tratta la differenza fra Islam ed integralismo, fra antichi principi di vita e religiosi e recenti imposizioni bigotte di stile jihadista. In definitiva un lavoro pienamente riuscito, per scelta rivolto ad un pubblico europeo o comunque “cittadino”, una musica viva che ha il merito di fare luce e richiamare anche la nostra attenzione su crimini e oltraggi subiti da un popolo fra i più pacifici della tormentata Africa, un popolo che dell'Africa ci offre la miglior musica, “il nostro petrolio”  è solito dire l'altro nume tutelare del Paese, il virtuoso della kora Toumani Diabatè.

 

Voto: 8/10
Giampiero Marcenaro

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