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4 Marzo 2020 ,

King Krule Man Alive!

2020 - XL Recordings Ltd. / Matador Records
[Uscita: 21/02/2020]

Sfogliando le playlist annuali delle riviste musicali salta agli occhi come, nello scorso decennio, i dischi più votati sono stati quelli pubblicati da musicisti storici, da Bowie e Leonard Cohen (RIP), a Nick Cave o gli Swans, il più "giovane" tra i gruppi vincitori di classifiche sono stati i Low, comunque ultracinquantenni in pista dal '93. Faceva quindi colpo, nel 2017, l'eccezione rappresentata da "The OOZ" di King Krule (n. Archy Ivan Marshall), ventitreenne che nelle interviste candidamente ammetteva di non aver scoperto la musica ascoltando dei dischi, ma facendo streaming in rete, cosa stranissima per noi veterani ma normale per chi ha vissuto praticamente solo nel nuovo millennio. A distanza di tre anni il Nostro pubblica un nuovo disco, "Man Alive!", il quarto della sua già prolifica carriera. La musica di questo talentuoso millennial è quindi quella del futuro? Ascoltando i primi brani di questo "Man Alive!" penseremmo più ad un riuscito revival del secolo precedente: basso potente e ossessivo, anche un po' distorto, sinth suadenti, batterie robotiche, voci disumanizzate, il sax cattivo di Comet Face, tutto molto anni '80, con concessioni all'alternative anni '90: le chitarre sospese, molto post rock di Cellular, lo pseudorap Beck-style di Stoned Again. La ballata The Dream cambia un po' le carte in tavola, col suo stile indolente e un cantato che si ispira vagamente a Chet Baker, stante la natura onnivora del nostro (il cui nome d'arte, ricordiamolo, omaggia Elvis). Nella parte finale del disco, soprattutto in Underclass emerge anche l'amore per il jazz, riletto in chiave molto sghemba e trasversale. I brani sono tutti piuttosto brevi, un pregio perché non annoiano mai, un difetto quando alcune buone intuizioni di scrittura ci farebbero volere di più. Benché siano ben costruiti, con variazioni interne di melodia e arrangiamento hanno sempre un sentore di irrisolto, ma questa è la poetica dell'autore e forse del suo tempo. Qualche brano, come Theme For The Cross, recitato, convince meno, malgrado il bel lavoro di Ignacio Salvadores al sax. Appare chiaro l'approccio "orizzontale" di Marshall alla musica: un giovane che ha tutto quanto sia stato inciso a sua disposizione, e lo rilegge secondo un'ottica personale, in cui dominano soprattutto il post-punk (gli anni '80 appaiono sempre più la pietra angolare dell'immaginario collettivo), il trip-hop e certo jazz da film noir. Un disco meno dirompente del precedente "The OOZ", ma comunque valido, da ascoltare, magari non strega al primo ascolto, ma cresce coi successivi.

Voto: 7/10
Alfredo Sgarlato

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