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26 Novembre 2019

Beck Hyperspace

2019 - Capitol Records
[Uscita: 22/11/2019]

Ci sono dei momenti nella carriera di un musicista nei quali, esigenze di mercato permettendo, sarebbe utile prendersi una pausa di riflessione ed uscire con un nuovo album solo quando l’ispirazione ha ripreso forza per non lasciare i propri ascoltatori con un prodotto scadente in mano. Una introduzione doverosa per presentare il nuovo lavoro di BeckHyperspace”, il suo quattordicesimo in studio dopo una discografia fatta di alti, molti, e poche cadute di stile. Basterebbe citare album come “Odelay”, “Mutations”, “Mellow Gold” e lo stesso “Sea Change” a dimostrare che Beck David Campell, ormai prossimo alla cinquantina, è uno dei personaggi più interessanti degli ultimi 25 anni. Tornando alla triste attualità di cui sopra non occorrono molti ascolti per capire che quest’ultimo capitolo sia il disco peggiore del losangelino, il volersi affidare ad un produttore affermato come Pharrell Williams ha fatto la differenza, in peggio ovviamente. Del resto da uno che ha lavorato con gente come Kanye West, Jay-Z, Ed Sheeran, Miley Cyrus, Justin Timberlake et similia non potevamo che aspettarci un disco iperprodotto e ricco di synth e elettronica. Eppure siamo sicuri che se Beck avesse fatto tutto da solo non ci saremmo ritrovati con questo insulso e stucchevole album dentro al lettore, perché le canzoni volendo scavare bene ci sarebbero anche state, inutile negarlo. Già in fase di presentazione avevamo temuto il peggio, non si sa se destava più terrore la copertina del disco o il suo titolo, sembravano indicare ai seguaci del californiano di stare per una volta alla larga, a meno di non avere sufficiente coraggio. Il singolo di lancio Saw Lightining, di una bruttezza senza pari, confermava questi sospetti ma la compagnia in questo disco non gli manca certo. Come può essersi ridotto Beck a registrare roba come Uneventful Days, il penoso duetto con Sky Ferreira, chi è costei?, di Die Waiting, roba da ragazzini youtubers  Chemical ma purtroppo non sono le sole. Qualcuno ha suggerito accostamenti con Todd Rundgren periodo Utopia ma lì almeno c’era una perizia strumentale qui del tutto assente. A risollevare il disco da una imbarcata storica, per usare un termine da football, ci provano disperatamente 2-3 pezzi che quantomeno dimostrano che Beck non è completamente andato alla deriva. Stratosphere, definiamolo slow spaziale, Dark Places e Everlasting Nothing, che vocalmente ricorda Bono e gli U2, poste nel finale del disco, hanno il grosso vantaggio di non avere i soliti arrangiamenti invadenti di Pharrell Williams ma non sono assolutamente in grado di far cambiare giudizio su un album che definire penoso è fargli un complimento. In teoria, l’unico punto a favore di “Hyperspace” è la durata, 39 minuti, che sembrano pochi ma appaiono interminabili vista la fatica che si fa ad arrivare a fine album. Se ci sono ancora dubbi su quale sia il miglior disco dell’anno intanto abbiamo trovato il peggiore: grazie Beck.

Voto: 4/10
Riccardo Martillos

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