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25 Luglio 2014 ,

Yes HEAVEN & EARTH

2014 - Frontiers Records
[Uscita: 08/07/2014]

Heaven_and_Earth_Yes_Dean“Heaven & Earth” è il 19° album di studio (escludendo le poche tracce inedite presenti sui due volumi dal vivo intitolati “Keys to ascension”) pubblicato dagli Yes; o meglio, da ciò che ne rimane, dopo una carriera attraversata da frequenti cambi di formazione. A questo punto, diciamolo subito: non si tratta certo di un’opera memorabile; del resto la band ha sicuramente espresso il suo massimo fulgore competitivo durante tutti gli anni ’70, piazzando ancora qualche rispettabilissimo colpo di coda durante gli ’80 (“Drama”, “90125” e “A.B.W.H.” sono davvero tre ottimi album), dopodichè, dai ’90 in poi, ci ha abituato a lavori routinari nella più felice delle ipotesi, estenuanti all’ascolto nei casi meno riusciti di questa discografia già di per sé in fase calante. Heaven and Earth suona decisamente stanco, bolso e ulteriormente penalizzato da una produzione sonora, a cura di Roy Thomas Baker, che con le tecnologie di oggi potrebbe essere ammissibile in un CD-demo autoprodotto. Quest’ultimo aspetto è vieppiù imperdonabile se si pensa che, tra il tocco di Eddie Offord prima e di Trevor Horn successivamente, gli Yes erano stati in passato probabilmente una delle formazioni di rock progressivo con il sound più massiccio e sorprendente nella storia. 

 

Detto questo, a parziale giustificazione per questo nuovo album, si può dire che la formula a 8 tracce di non eccessiva lunghezza (ad eccezione dei nove minuti di Subway Walls e degli otto di Believe Again), per complessivi 52 minuti scarsi, dona quella piccola yesbandventata di freschezza in più rispetto a opere come, ad esempio, il precedente “Fly from here”, ottuso e indigesto. C'è anche qualche momento (In A World Of Our Own) molto radio-friendly ed apprezzabile. Ciò che colpisce particolarmente però di queste otto canzoni, è una certa tendenza a scivolare nel melenso, che può ricordare a tratti certe tarde opere soliste di Jon Anderson o di Rick Wakeman, che paradossalmente sono proprio i due assenti illustri di questo nuovo disco. Accanto alla triade Howe/Squire/White, infatti, troviamo il tastierista Geoff Downes, già con loro in “Drama” del 1980 e rientrato nello scorsogeoff downes disco, e il nuovo cantante Jon Davison, proveniente dai Glass Hammer e quasi-clone di Jon Anderson persino nel nome oltre che nel timbro e nell'aspetto. Questo quotato interprete del Tennessee spazza via la meteora Benoit David, proveniente da una tribute-band proprio degli Yes e protagonista del precedente Fly from here. A proposito di tributi, ascoltando questa nuova opera sembra quasi di essere di fronte a un manipolo di imitatori, o forse è quanto viene istintivo credere per non accettare che ormai quelli veri citano se stessi con fare annoiato.

 

Tra un Howe al limite del “non-pervenuto”, alle prese con sonorità e fraseggi che non sembrano nemmeno i suoi, uno Squire che è solo il pallido ricordo di quelle cavalcate con le corde sferraglianti sul manico di brani-monumento come Roundabout, Heart of the Sunrise, Parallels, Tempus Fugit, un White penalizzato dal mixaggio e relegato a un ruolo da drum-machine, forse l’unico che si impegna veramente è Geoff Downes, il quale, non yes-chris-squire-650-430pago di pochi hit da classifica ottenuti ormai più di tre decadi or sono con i Buggles e gli Asia, cerca di dimostrare in ogni modo di sapere ancora scrivere canzoni con quel suo caratteristico stile a cavallo tra AOR, electro-pop e progressive rock. Canzoni che, diciamocelo con onestà, se anziché uscire a firma Yes - dai quali è (o fu?) lecito aspettarsi qualcosa di più - fossero state nell’album di esordio di qualche sconosciuta band emergente dell’Est Europeo, francese, tedesca o italiana, forse non ci sembrerebbero così malaccio. E tutti quelli che, tra pubblico e critica, ora si sono lanciati nel “gioco al massacro” per il solo gusto di demolire il 19° album degli Yes, ora si scatenerebbero in lodi entusiastiche salutando con gioia quelli che etichetterebbero come nuovi, fantastici eredi del grande suono Yes.

 

Voto: 5/10
Alberto Sgarlato

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