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6 Marzo 2020

Pat Metheny From This Place

2020 - Nonesuch Records / WEA International Inc.
[Uscita: 21/02/2020]

Chitarrista geniale e proteiforme, Pat Metheny è destinato da sempre, in ragione dei canoni stilistici adottati di volta in volta, ad ammaliare o a contestualmente respingere miriadi di ascoltatori dei suoi dischi. Passando attraverso il vaglio artistico ora di un jazz classico ora di un coacervo di sonorità sperimentali, ora di uno stilema estetico-contenutistico prossimo a sdilinquire nella melopea a volte più scontata, il grande compositore e musicista americano è riuscito a sopravvivere alla temperie culturale che ha devastato fior di artisti nel corso degli ultimi 50 anni. Quantunque lontani appaiano i tempi di capolavori quali “American Garage”, “Off Ramp”, “First Circle”, “Still Life (Talking)”, e persino di dischi di alto contenuto qualitativo quali “Letter From Home”, “Imaginary Day”, ora col suo gruppo di riferimento più costante, quel Pat Metheny Group che così grandi musicisti ha annoverato tra le sue fila (il grande e recentemente scomparso tastierista Lyle Mays su tutti, ma anche Paul Wertico, Mark Egan, Danny Gottlieb, solo per citarne alcuni), ora tramite le innumerevoli collaborazioni con artisti del calibro di Charlie Haden, Gary Burton, Jim Hall, Cuong-Vu , Pat riesce sempre a fornire prove discografiche di notevole lignaggio poetico. Cade a proposito l’uscita dell’ennesimo tassello sonoro del chitarrista del Missouri, “From This Place”. Un album che vede al suo fianco un novero di musicisti di tutto rispetto: il pianista inglese Gwilym Simcock, il batterista Antonio Sanchez, la bassista australiana di origini malesi Linda May Han Oh, e l’orchestra sinfonica di Hollywood per le parti dedicate agli archi, e che si dipana lungo dieci episodi per circa un’ora e quindici minuti di durata.

Un disco che presenta diseguaglianze stilistiche e momenti di puro e raffinato lirismo, squarci di mera poesia musicale e frammenti di greve caduta retorica in un “melodismo orchestrale” talora inopportuno. Il tutto, però, illuminato dall’enorme talento e dall’ineguagliabile virtuosismo chitarristico di Metheny. La lunghezza eccessiva di un brano quale America Undefined è di nocumento, ad esempio, in bilico tra jazz classico e sperimentalismo, con qualche abuso sinfonico ad appesantire l’insieme, mentre il tocco da ballad sospesa tra crepuscolarismo e lirismo di You Are restituisce bellezza pura alla mente. La chitarra synth dallo smeraldino scintillio cromatico che fa irruzione nel cuore di Same River ci restituisce per un attimo il Metheny dei tempi d’oro, quello di sonorità immortali come Are You Going With Me?, il resto è un susseguirsi di toni meditativi e quasi elegiaci (The Past In Us, From This Place, Love May Take Awhile) e di momenti di ardita concezione sincretistica frutto di istanze classiche (Pathmaker, Sixty-Six), di suggestioni jazz-fusion (Everything Explained), in cui a dominare incontrastata è la classe cristallina di Pat. Un album denso di luci e ombre, infine, ma i cui riflessi di splendore aurorale giungono a noi come da regni ancestrali.

Voto: 7/10
Rocco Sapuppo

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