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9 Dicembre 2013 ,

Garry Pitcairn (I’LL SEE YOU) IN THE TREES

2013 - Dansza Records
[Uscita: 18/09/2013]

Gerry Pitcairn# Consigliato da Distorsioni

 

Garry Pitcairn, con il suo esordio solista “(I’ll See You) In The Trees”, rappresenta una delle più belle sorprese della musica nostrana di questo anno. Questo suo lavoro è stato capace di riscuotere in un breve periodo consensi un po’ ovunque, tanto che cominciano ad arrivare apprezzamenti anche dall’estero. Tanti gli applausi che la formula di pubblicazione, esclusivamente sulla piattaforma web ed in download gratuito, potrebbe iniziare ad apparire stretta senza una futura stampa fisica. Garry è Gabriele Maruti e vanta già un passato da chitarrista negli Anubi; tuttavia questa esperienza non basta a comprendere e spiegare la perizia e la maestria con cui Pitcairn cura la composizione. Il tappeto soffice sul quale si dispiegano queste undici tracce è in grado di creare un equilibrio ammaliante e viene spesso decorato da svariati effetti, da mille richiami di una psichedelia spicciola. Al Nostro va anche il grande merito di aver registrato l’album suonando una decina di strumenti (dalle chitarre all’arpa, passando per l’armonica), ovvero tutti quelli necessari alla realizzazione del lavoro, ad eccezione delle percussioni, curate sapientemente da Steve Lions, al secolo Stefano Leoni.

 

Così Pitcairn ondeggia tra atmosfere delicate, dal sapore autunnale, facendo emergere qua e là melodie di un’inconfondibile matrice pop, salvo reimmergersi subito in riff ipnotici. Se in questi aspetti stilistici l’artista milanese incontra i Wilco meno posati, il lo-fi diffuso che percorre (I’ll See You) In The Trees lo incanala sui binari dei migliori Sparklehorse, quelli, per intenderci, di “It’s A Wonderful Life”. La miscela efficaceGarry-Pitcairn dell’acustico e di sprazzi elettrici mettono in riga un folk scomposto ed una psichedelia più essenziale, conditi sempre da una vena decisamente cantautorale. Un album complesso, che ai primi ascolti può suonare addirittura inaccessibile, mesto e ruvido, ma al contempo fragile e sempre equilibrato. In alcuni brani è la chitarra ad aprire, con arpeggi o plettrate che sembrano annunciare un’imminente esplosione, salvo poi lasciare spazio a trame crepuscolari (Something Never Done, Green Light/Red Light, Random), altri pezzi si impongono per l’incedere spigliato e i ritornelli onirici (Window Bars, So Unkind). A tratti i ritmi si fanno più decisi ed è la cadenza ipnotica a reggere l’intero brano (Set On Fire, Story Of Shadow Grace, People Eat People, Dead + Gone) mentre quando cresce il pathos il rischio di intaccare l’euritmia della composizione viene puntualmente eluso (Revolution Decayed, The Beast VS The Ghost). Un viaggio, dunque, tra voci smembrate e testi decadenti, tra armonie acustiche e  squilli elettrici. Un succedersi di corde, piatti e fiati ammalianti e vorticosi, dai toni dimessi ma intensi come non mai. Un gradevole, lento flusso.

 

Voto: 7.5/10
Simone Pilotti

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