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27 Ottobre 2013 , ,

Robert Wyatt ’68

2013 - Cuneiform Records
[Uscita: 08/10/2013]

wyatt cover# RACCOMANDATO DA DISTORSIONI

 

Pare frutto di un arcano prodigio il fatto che materiale registrato e smarrito più di quarant’anni fa venga opportunamente recuperato e stampato in Lp e Cd, ai giorni nostri. Se poi il caso de quoconcerne un signore come Robert Wyatt, autentico nume tutelare della musica contemporanea, la questione assume i contorni di un autentico evento. Sveliamo l’arcano: nel settembre del 1968, alla fine del tour americano dei leggendari Soft Machine, che vide i membri della Morbida Macchina esibirsi come gruppo di supporto del favoloso Jimi Hendrix, Robert rimase ancora per qualche mese in loco, tra Hollywood e New York. Qui, con la  preziosa collaborazione  di taluni dei suoi compagni d’avventura, Hugh Hopper, Mike Ratledge e lo stesso Jimi, registrò quattro tracce, due alquanto brevi, e due della durata media di una ventina di minuti ciascuna. Al suo ritorno in terra albionica, nel dicembre dello stesso anno, di quei lavori non v’era più traccia. Smarriti tra i fumi di inenarrabili sostanze psicotrope… è probabile.

 

E se due di quei frammenti, i più lunghi, nonostante tutto, sarebbero stati comunque pubblicati di lì a breve, sia pure in versioni diverse, gli altri due invece recuperati miracolosamente dopo una pletora di lustri, e grazie alla valorosa etichetta Cuneiform, rivedono ora la luce per nostro sommo diletto. Le due tracce brevi sono: Chelsea,originariamente scritta a quattro mani con Kevin Ayers ai tempi dei Wilde Flowers, e Slow Walkin’ Talk, scritta da Brian Hopper sempre in quel periodo, e qui riarrangiata ed eseguita da Robert, affiancato al basso addirittura da Jimi Hendrix. Il cuoreRobert-Wyatt-feat-3 pulsante dell’album per è rappresentato dalle due tracce di lunga durata, poi confluite, con le opportune modifiche, nel secondo e terzo album dei Soft Machine (“Volume II” e “Third”)Rivmic Melodies e una versione primigenia di Moon In June. Nella prima, l’estro sperimentale di Wyatt, che suona tutti gli strumenti, si dispiega in assoluto splendore, con il tessuto sonoro trapunto dei suoi spericolati vocalizzi, la batteria che pulsa freneticamente entro un impianto di mera allucinazione sonica, per poi trovare requie in un melanconico tappeto di note sincopate, vellicato dalle placide note del piano e dalla voce di Robert, ridivenuta speculare a immaginari crepuscoli. Nel finale, la tensione sperimentale tende a riappropriarsi  della scena, nuovamente, suggellando un brano di rara intensità e di policromia di soluzioni stilistiche rimarchevoli.

 

wyattIn Moon In June troviamo al fianco del Nostro Mike Ratledge, all’organo Lowrey, l’Hammond è suonato da Robert, e il fido Hugh Hopper al basso. Su questo brano divenuto giustamente leggendario è quasi pleonastico dilungarsi; tuttavia, in questa versione in progress si riscontra, rispetto a quella poi immessa in “Third”,una maggiore esposizione sperimentale, data ovviamente dal contesto meno formale e quasi estemporaneo nel quale ebbe germoglio, e una vena psichedelica più pronunciata, favorita tra l’altro dal virtuoso uso delle due tipologie di organi adoperati: l’Hammond suonato da Wyatt, nella prima parte; il Lowrey, suonato da Ratledge, nella seconda. Su tutto, però, a torreggiare in modo superbo e inequivocabilmente grandioso, la voce unica, irripetibile di Robert, un vero richiamo per spiriti smarriti nella tenebra fitta di paurose foreste interiori e tosto innalzati alla rappresentazione simbolica del risveglio nel salvifico splendore della melodia. Impossibile aggiungere anche un solo frammento di luce alla già luminosissima carriera del geniale Wyatt; recuperare, però, i frammenti aurei sui quali sarebbero state poi edificate le fulgenti cattedrali della sua musica, può considerarsi doverosa e splendida cosa.

Voto: 7.5 /10
Rocco Sapuppo

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